di Roberta Cacioppo
Ascoltare una conferenza del Dalai Lama offre un buon influsso sullo stato d’animo: lasciarsi cullare dal senso generale delle sue parole ha già di per sé un effetto molto calmante, e osservare lui, con il suo atteggiamento insieme lieve e fanciullesco, può addirittura mettere di buon umore. Però, poi, si tratta di cercare un modo per conciliare il suo messaggio con la vita quotidiana quella di una persona che pratica la libera professione, vive in un Paese occidentale, nel XXI secolo, etc… nel mio caso soprattutto con una parte del mio lavoro, che è quella dedicata alla politica professionale.
Le battaglie di Tenzin Gyatso sono sempre state pacifiche – e questo ossimoro è centrale per comunicare la profondità del suo pensiero -… talmente tanto pacifiche che nell’89 ha ricevuto il premio Nobel! E da allora il suo impegno è sempre stato in quella direzione, nonostante le vessazioni spesso subite da lui in prima persona (vive in esilio da tantissimi anni a causa delle rappresaglie cinesi) e dal popolo tibetano più in generale.
Mi piace fantasticare chiedendomi se sarei in grado di seguire (almeno un po’?) quella che lui chiama “etica delle emozioni”, fondata su un profondo rispetto per “tutto ciò che è vivo”.
I valori che lui promuove sono fondamentali: compassione e altruismo sono tra i miei prediletti.
- Compassione nel senso etimologico di “partecipazione alla sofferenza dell’altro” (e non con il significato di “provare pena” come spesso viene utilizzato in italiano corrente). Occuparsi di politica professionale significa per me condividere, essere presente, farsi soggetto attivo di fronte alle difficoltà.
- Altruismo come partecipazione attiva alla risoluzione di problemi, difficoltà, necessità altrui. Nel caso della politica professionale, si rappresenta l’intera categoria di appartenenza, ma spesso muovendosi in prima persona per rispondere alle domande dei colleghi, affrontando problemi spinosi insieme (rispondere alle domande sul recente decreto che ha previsto la registrazione al fantomatico “sistema Tessera Sanitaria”, spiegare cosa succede all’interno del nostro Ordine professionale, fare da tramite per la risoluzione di problematiche relative al nostro sistema previdenziale, …).
Questo ha a che fare con ciò che mi muove, con la direzione verso la quale guardo quando penso a questa parte del mio lavoro.
Ne esiste però un’altra, che è quella dell’affermazione delle proprie idee, della vision politica per la nostra professione; e qui spesso si tratta di entrare in contrasto con pensieri, culture di riferimento e finalità differenti, portate da altri colleghi o da interi gruppi.
Secondo il Dalai Lama, la contrapposizione che così spesso caratterizza le nostre vite è una fatica inutile, ma soprattutto controproducente: il contrasto continuamente marcato tra “noi” e “loro” promuoverebbe le emozioni aggressive, conducendo a rischiosi circoli viziosi.
Però occuparsi di politica spesso significa proprio coltivare il contrasto, favorendo posizioni dialettiche – e quindi potenzialmente fertili -,
La speranza ha un ruolo di rilievo nel motivarmi a fare politica professionale: gli interessi che cerco di perseguire appartengono a tutta la mia categoria professionale (declinati secondo gli ideali che mi appartengono), e anche a chi del nostro lavoro usufruisce (lavorare per noi psicologi significa occuparsi di persone, spesso sofferenti).
Insomma: non credo di essere così buddista nel mio agire quotidiano, ma estrapolare dei riferimenti culturali di questo tipo mi aiuta a definire una dimensione più definita per fare quello che faccio. Per me e per la categoria cui appartengo.